Anni fa, più o meno in questa stagione, mi sono casualmente trovata in un negozio a provare alcuni vestiti insieme ad una donna che non conoscevo. Come spesso accade tra noi cittadine dell’ universo femminile, tra un capo e un altro, avevamo scherzato sulle taglie ancora troppo lontane dagli obbiettivi estivi che ci eravamo prefissate di raggiungere, sul colore ancora troppo niveo della pelle per poter degnamente portare un vestito smanicato e di altre piacevoli frivolezze femminili. Qualche giorno più tardi, la stessa donna, me la sono trovata di fronte nella sua veste di nuova direttrice di una banca, con la quale mi dovevo relazionare per lavoro. Lei non era diversa, ne’ nei modi ne’ nella forma. Per un attimo sono stata diversa io. Per lungo tempo ho pensato a questo cambio di prospettiva e ho compreso che la maggior parte di noi vive ancora nella primitiva convinzione che le banche siano luoghi sacri (come in effetti lo erano in passato) e che le pratiche all’ interno di tali sacri edifici siano riservate solo alla privilegiata casta di chi vi lavora all’ interno. Non entriamo forse in banca con lo stesso stato di sottomissione con il quale entriamo in chiesa o ci rivolgiamo al direttore di filiale, con lo stesso timore reverenziale con il quale ci rivolgiamo al sacerdote? La verità, per fortuna, e’ diversa. Le banche sono dei semplici negozi, che vendono un prodotto: il denaro. Perché dal fruttivendolo, piuttosto che dal gioielliere o in una boutique di moda non abbiamo lo stesso atteggiamento che abbiamo in banca ? e perché negli altri negozi non ci vergogniamo di chiedere prezzi e spiegazioni sui prodotti offerti o educatamente usciamo se quello che ci offrono è troppo caro o non è di nostro gradimento ? Di questa e di tantissime altre cose, ho piacevolmente parlato qualche giorno fa a pranzo con la mia amica, conosciuta anni fa per caso mente facevamo shopping e che di lavoro fa la direttrice di banca.